Vini passiti
La storia dei vini passiti.
La vite è conosciuta dall’umanità fin dai tempi più remoti, ma furono i fenici ad affinare una prima embrionale forma di vinificazione. Infatti a loro si deve l’introduzione, nel bacino del Mediterraneo, della Vitis vinifera. Tale varietà di vite, che si differenzia dalla vite silvestris, produce frutti molto più zuccherini e che si prestano bene a diventare vino. E in particolar modo può divenire vino passito.
Origine del termine vino.
Il termine “vino” probabilmente deriva da un vocabolo ittita, anche se molte altre lingue antiche del bacino del Mediterraneo hanno termini simili. Fin dai tempi antichi il vino assumeva grande importanza e proprio per questo ero simbolo di ricchezza e di prosperità. Nonostante il vino dolce fosse destinato alle corti dei regnanti, sono giunte fino a noi numerose iscrizioni antiche che lodano questa bevanda zuccherina.
Vari modi per produrre i vini passiti.
Le tecniche di produzione variavano a secondo della zona geografica e quindi del clima. Infatti, in zone con autunni caldi e asciutti come il bacino del Mediterraneo, le uve venivano fatte appassire al sole. Mentre nei territori più freddi e umidi, quali l’Italia settentrionale e la Gallia, il mosto veniva cotto direttamente sul fuoco. Perciò lo scopo di ottenere una concentrazione zuccherina elevata, era raggiunto in diversi modi. Dopo queste operazioni preliminari, il composto ottenuto fermentava così com’era, oppure si aggiungeva ad altri mosti-vini.
Le prime pratiche di cantina per vini passiti.
Spesso, nell’antichità, il mosto-vino veniva implementato con altre sostanze, tali “pratiche di cantina” possono essere definite le antenate di quelle odierne. Ad esempio, il mosto veniva addizionato con del miele per migliorare le qualità organolettiche del vino passito e per prolungarne la conservazione. Talvolta, al mosto, veniva aggiunta anche dell’acqua di mare. Per spiegare tale stranezza, è necessario ricordare che l’acqua salata aveva uno scopo ben preciso, infatti il cloruro di sodio presente in essa, serviva alla chiarificazione del vino. Inoltre l’azione combinata del sale e del calore accelerava l’ evaporazione dell’acqua all’interno dell’acino e quindi favoriva l’ appassimento dell’uva.
Il vino passito, una bevanda poetica.
Molte delle fonti sul vino sono giunte fino a noi grazie alle opere poetiche e letterarie antiche. Tali componimenti non sono solo di decantazione e di lode al vino, bensì ci aiutano a capire meglio come questa bevanda veniva prodotta. Esiodo descrive, ad esempio, quando le uve dovevano essere raccolte e come i grappoli dovevano affrontare la fase di appassimento. Altresì, Magone ci descrive come venivano appassite le uve in Nord Africa. Ovvero al sole, ma protette da una copertura di canne per evitare l’eccessiva insolazione è l’umidità della rugiada notturna. Plinio ci descrive la pratica di immergere l’uva in olio caldo, con lo scopo di eliminare la pruina dall’ uva e rendere così l’ appassimento più veloce. Sempre Plinio intuì la possibilità di migliorare la qualità del prodotto immergendo le uve passe nel vino (tecnica del passum). Tale processo perdurava fintanto che lo zucchero presente nell’uva non fosse passato al vino. Vale la pena ricordare che questo metodo è ancora utilizzato per la produzione dello Zibibbo di Pantelleria. Un vino passito di fama internazionale.
Le uve privilegiate per vini passiti.
Innanzitutto va ricordato che nell’antichità classica le uve a bacca bianca e nera venivano usate in purezza oppure mescolate. Và comunque detto che, invece, non si transigeva sull’uso delle uve aromatiche e non aromatiche: per esempio, il moscato di Samos e il malvasia dell’ Arcipelago, non erano mai mescolate ad uve di aroma neutro.
I vitigni dell'età classica.
Già nell’antica Grecia alcuni vitigni erano stati selezionati per produzione di vini passiti. Uno dei vitigni più famosi era il biblino, originario della Fenicia, ma coltivato anche in Tracia e a Naxos, in Sicilia. Questo vitigno origina un vino nero, profumato ed adatto ad un lungo invecchiamento. Anche il matroneo era un vitigno degno di nota, tant’è che il vino prodotto dalle sue uve passite viene citato da Omero nell’ Odissea e nell’ Iliade. I vitigni psithia (a bacca bianca) pelampsithia ( a bacca nera) erano le varietà privilegiate dai Romani per ottenere il passum. Inoltre, degno di nota, è il graecula, che Plinio descrive a bacca piccola e senza seme. Vi è Poi il vitigno trace leucothrakia, noto perchè utilizzato nella produzione del vino dolce di Santorini. Infine, dai dintorni di Salonicco, proveniva il mandes.
Le uve aromatiche nell'età classica.
Rari, nell’ antichità, erano gli esempi di vinificazione con uve aromatiche. A prova di tutto ciò, Esiodo ci descrive l’uso del moscato, del calabrese e della vernaccia a dosi di un terzo, presso Inoltre Plinio ci testimonia la produzione di alcuni vini dolci anatolici, ottenuti da uve a bacca rossa come lo scybelite e il tiracum.
La Tracia e la tradizione vitivinicola.
Non è un caso che molti vitigni erano proprio originari della Tracia, regione storica situata a cavallo tra Grecia, Bulgaria e Turchia. Infatti questa zona è probabilmente il territorio viticolo più antico. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che la Tracia possiede un microclima ottimo: asciutto e con autunni freddi. Va aggiunto inoltre, che la Tracia era un crocevia fondamentale dei commerci fenici e secondo la mitologia, era la patria di Bacco.
I secoli bui del vino passito nel Medioevo.
Nell’alto Medioevo, l’Europa subì una con contrazione demografica e anche il clima cambiò, di conseguenza ci fu una diminuzione nell’ offerta di vino. Il consumo di vino ritornò ad essere un’esclusiva delle classi più agiate. I vini passiti presenti, a quei tempi, sul mercato erano prevalentemente originari del Mediterraneo orientale: vini santi greci, vernacce, malvasie.
Il Vin Santo.
Nelle zone viticole con condizioni climatiche favorevoli all’ appassimento (coste dalmate, Veneto occidentale), sì cominciò a produrre il vino passito in stile orientale. Così, a partire dal XVII secolo, la produzione italiana subì un incremento considerevole, soprattutto dopo la presa di Costantinopoli e l’occupazione ottomana della Grecia. Con l’ Oriente non si poteva più commerciare. Pertanto sì comincio a vinificare vinsanti, dalle uve a gusto neutro e malvasie dalle uve aromatiche.
Il primo Vin Santo.
Il Vin Santo nasce a Santorini, isola delle Cicladi, in Grecia. Tale vino era già conosciuto nell’età classica, ma la sua fama aumentò grazie ai commerci di Venezia. Il Vin Santo, come la Malvasia di Creta,l’ Ariousios di Chio e il Commandaria di Cipro, assumeva la comune denominazione di vino greco ed era dolce, alcolico e longevo. Nonostante sappiamo che nel Medioevo il Vin Santo era molto in voga nel clero, la prima descrizione di esso è solo molto successiva. Infatti la testimonianza del barone J. Pitton de Tournefort, che descrive le doti organolettiche del vin Santo, risale solo a fine ‘ 700.
Le origini del Vin Santo.
L’origine del nome vinsanto è discussa e vi sono diverse teorie riguardanti la sua nascita. Il termine “santo” deriva probabilmente dal greco xantos “giallo”, che richiama proprio il classico colore del vino passito. Inoltre “santo” può richiamare anche l’aspetto liturgico che questo vino assumeva nella Chiesa , in quanto la pigiatura delle uve appassite avveniva la settimana santa. Infine vi è anche la tesi che il termine “santo” derivi da termini ebraici e accadici che significavano “essere diverso“, diverso dagli altri vini.