Il vino della Valtellina.

La Valtellina.

La Valtellina è situata in provincia di Sondrio, nella regione della Lombardia, posizionandosi tra il 46° e il 46,5° parallelo ed e attraversata dal fiume Adda. Questa valle ha orientamento est-ovest, così che il versante vitato della valle risulta esposto a sud, assicurando un elevata insolazione. Inoltre si trova protetto dalle Alpi Retiche, alle spalle, per le altitudini comprese tra i 3000 e i 4000 m. Diversamente le Alpi Orobiche si pongono di fronte che con vette più basse forma una specie di anfiteatro. Qui non è possibile la viticoltura perché ricoperto di boschi. A sud-ovest troviamo il lago di Como mentre a nord-ovest è posizionata la Valchiavenna, zone da cui provengono venti e brezze che mitigano la calda valle. Infine possiamo citare da sud a sud-est il Monte Adamello e la Valcamonica con, ai suoi piedi, il lago d’Iseo

La zona vitivinicola della Valtellina.

L’area vitata comincia dal Comune di Morbegno fino ad arrivare a quello di Tirano contando circa 1.250 ettari e distendendosi per quasi 50 km. Dunque la viticoltura si pone sul versante retico da quota 300 metri fino a quota 700 metri. Il vitigno principe e storico è il Nebbiolo, localmente chiamato Chiavennasca che occupa il 90% del territorio.

Storia della viticoltura valtellinese.

Le origini della viticoltura in questa valle.

La prima testimonianza scritta della viticoltura in Valtellina è dell’ 837 ed inquadra uno sviluppo viticolo tra Morbegno e Montagna. Difatti risulta documentato che il Monastero Sant’Ambrogio di Milano era proprietario sul versante retico Valtellinese di diversi appezzamenti con vigne. Ma le origini parino risalire all’epoca pre-romana in quanto i primi abitatori della valle furono i liguri a cui seguirono gli Etruschi.  Infatti entrambi i popoli conoscevano la coltura della vite. Però la razionalizzazione e l’intensificazione della coltivazione è da ascrivere prima ai romani e in secondo luogo ai “magistri comacini” ed ai monaci benedettini

I vantaggi del contratto “accola".

I monasteri ritennero così prezioso il vino al punto tale di utilizzarlo come merce di scambio, cioè, come la funzione della moneta. Inoltre i religiosi introdussero il contratto “accola” che prevedeva l’affidamento a tempo indeterminato di terreni incolti e boschivi ai contadini con lo scopo di bonificarli. L’esiguo canone era pagabile in denaro o in natura ed era definito sulla base del redditività precedente la conversione in terreno agrario. Invariabilità nella quota d’affitto spingeva i contadini ad investire in costruzione di muretti a secco. Un ulteriore vantaggio, previsto alla scadenza del contratto, era il riconoscimento in somma di denaro corrispondente alle migliorie apportate. Questo fu l’impulso maggiore della costruzione dei muretti a secco e delle scale che permisero di coltivare zone a viticoltura.

Le grandi famiglie.

Nel 1200 la viticoltura raggiunse l’alta valle e nel 1259 nacquero i Signori di Milano con il guelfo Martino Della Torre che governò fino al 1277. Seguirono i signori Visconti che governarono fino al 1395. L’ultimo Signore fu Filippo Visconti che morì nel 1447 senza lasciare eredi. A questo punto subentrarono gli Sforza, per il matrimonio di Francesco Sforza con Bianca Visconti. 

I Visconti, signori di Milano, produssero benessere economico con le esportazioni dei prodotti valtellinesi. Il ruolo dei monasteri divenne sempre più marginale perchè le proprietà terriere vitate passarono alle famiglie benestanti che, da lì in poi, gestirono gli affitti.

Il governo svizzero della Lega Grigia.

Nel 1512 la Valtellina entrò a far parte del territorio dei Grigioni i quali implementano le esportazioni verso i loro alleati austriaci e svizzeri. La coltivazione della vigna si sviluppò e si estesa tra il XIV e il XIX secolo Il richiedendo manodopera. Quindi si stimolò un flusso migratorio proveniente dalla Val Camonica e dalle valli bergamasche. Di conseguenza crebbe anche l’esportazione del vino verso Bergamo, Brescia, Milano e Bologna. Ma nei secoli successivi raggiunse anche l’Europa centrale e in Germania venne chiamato “Veltliner”. Le esportazioni annue crebbero da 65.000 ettolitri, nel 1.500, fino a 130.000 ettolitri, alla fine del 1.700. Per comprendere l’importanza di questo fenomeno è sufficiente pensare che nel 1.500 esistevano 3.500 ettari vitati contro i 1.250 ettari di oggi.

Annessione della Valtellina alla Lombardia.

Nel 1797 la Valtellina venne annessa alla Lombardia e le esportazioni ebbero una breve crisi. Intorno al 1850 comparve l’Oidio, una malattia trofica causata dal fungo Oidium Tuckeri,  che decimò le viti. Ci vorranno alcuni anni per controllare lo sviluppo di questa malattia attraverso l’uso dello zolfo !!. La difficile situazione fu aggravata intorno al 1890 dall’arrivo della fillossera, una afide che costrinse i viticoltori a reimpiantare nuovi vigneti. Quindi la conseguenza fu: una perdita di produzione nei primi anni e un progressivo abbandono dei vigneti.    

Ambiente pedoclimatico valtellinese.

Il clima.

Il clima è caratterizzato da precipitazioni tendenzialmente scarse con valori che diminuiscono ad alta quota e nelle stagioni estive. Il Breva spira dal Lago di Como fino a valle e attraversano i rilievi esterni delle Alpi cede umidità prima di raggiungere il cuore del massiccio. Inoltre assistiamo a fenomeni di föhn, forti folate di vento, per 25/40 giorni l’anno che illimpidiscono il cielo e aumentano le temperature. Le escursioni termiche tra la notte e il giorno sono diverse tra la zona dell’alta valle e quella del fondo valle. Comunque i gradi variano anche in funzione dell’esposizione della zona e della presenza di materiale roccioso nel substrato. Lo sviluppo della Botrite è sfavorito nel periodo vendemmiale perché poco piovoso, molto ben ventilato e con assenza di fenomeni nebbiosi.

Il suolo.

Il terreno del vigneto è al 70% sabbioso, al 20% limoso, ed inoltre con rarità compare non più del 10% di argilla. È molto permeabile ed ha una scarsissima ritenzione idrica di conseguenza ha una considerevole predisposizione alla siccità. Quindi i terreni sono per loro natura poco profondi e la superficie lavorabile va da 40 a 120 cm. Non è un fenomeno raro vedere piante di viti che conficcano le radici direttamente nelle fessure della roccia. Altra  peculiarità del terreno Valtellinese è la bassa presenza di calcare che influenza il ph e che risulta acido per questi suoli. Queste caratteristiche influenzano i vini con una elevata acidità fissa e con ph medio alti. Dalle analisi effettuate al terreno per studiare il metabolismo nutrizionale della pianta si notano le difficoltà ad assorbire calcio e magnesio. Il risultato degli studi ha portato come soluzione l’effettuare concimazione potassiche misurate. 

Il vigneto in montagna.

I vigneti valtellinesi impiantati in terreni caratterizzati da forte pendenza e difficilmente raggiungibili dalle macchine agricole richiedono in media 1200 ore di lavoro per ettaro annuo. Mentre, un vigneto in pianura può richiedere 300 ore di lavoro per ettaro annuo. Le vigne tradizionali sono disposte con filare a ritocchino, lungo le linee di massima pendenza in modo da rendere massima l’intercettazione della radiazione solare. Oppure, come le più moderne, sono disposte con filari a giro poggio, lungo le linee di livello, per facilitare la meccanizzazione. Durante il periodo della raccolta i lavoranti indossano le gerle sulle loro spalle per muoversi da un terrazzo ad un altro. Per spostare il raccolto alcune aziende usano le monorotaie, altre usano un elicottero ed altre fanno tutto manualmente. 

I muretti a secco valtellinesi.

Una delle caratteristiche più importanti del territorio è il sistema dei terrazzamenti, frutto del lavoro durato secoli, spesso definito viticoltura eroica. Questo è un metodo di dissodamento di versanti montani in forte pendenza. Attraverso la costruzione del terrazzo fu possibile recuperare spazio per lo sfruttamento agricolo, necessario per il fabbisogno. Si consideri inoltre che il portare le coltivazioni sui terrazzi serviva a proteggerle dai saccheggi dei soldati e dalle frequenti inondazioni del fiume Adda. In poche parole sono una miriade di muri fatti a secco con le pietre della zona. Si stima siano un totale di 2.500 km in sviluppo lineare, con una incidenza media per ettaro superiore 2.000 metri quadri di superficie verticale. Gli elevati costi di mantenimento e di produzione si ripercuotono, purtroppo, sul prodotto finale. 

Le denominazioni valtellinesi.

Sforzato di Valtellina DOCG.

Diventata D.O.C.G. nel 2003 vede la zona di produzione localizzata in provincia di Sondrio e comprende parte dei territori del versante delle Alpi Retiche. Si può impiegare il 90% di Nebbiolo, localmente chiamato Chiavennasca e possono concorrere un 10% di altre uve. La resa massima dev’essere di 8 tonnellate e dopo opportuno appassimento deve raggiungere 14 gradi alcolici. Questa tipologia può essere messa in commercio dopo un affinamento di 20 mesi, dei quali almeno 12 in botte di legno. Il periodo di affinamento parte dal 1 aprile dell’anno successivo della raccolta. È un vino prodotto con l’appassimento delle uve in fruttaio per 110 giorni , non è un vino dolce ma è secco in bocca. 

Valtellina Superiore DOCG.

Diventata D.O.C.G. nel 1998 vede la zona  di produzione localizzata in provincia di Sondrio e comprende parte dei territori del versante delle Alpi Retiche. Questa tipologia deve essere ottenuta dal 90% di Nebbiolo minimo e possono concorrere il 10% di altri vitigni. Le cinque sotto zone sono: Valgella, inferno, Grumello, Sassella e Maroggia. Può essere messa in commercio dopo un affinamento minimo di 24 mesi, di cui almeno 12 in botti di legno. Il predetto periodo decorre dal 1 dicembre successivo alla vendemmia. I vini sottoposti ad un periodo di affinamento di 3 anni possono portare la specificazione aggiuntiva riserva in etichetta. È consentito utilizzare l’addizione “Stagafassli” in aggiunta alla denominazione Valtellina Superiore solamente se il prodotto è stato imbottigliato nel territorio della Confederazione Elvetica. Non è consentito utilizzare tale dizione insieme ad una delle sotto zone e neanche alla qualifica riserva.

Valtellina rosso DOC.

Diventata D.O.C. nel 1968 vede la zona  di produzione localizzata in provincia di Sondrio e comprende parte dei territori del versante delle Alpi Retiche. Alla base ampelografica è previsto l’utilizzo del 90% di Nebbiolo minimo e il 10% di altre uve. La resa massima dell’uva deve essere non superiore a 70 ettolitri per ettaro. Inoltre può essere messo al consumo dopo un periodo minimo di affinamento di 6 mesi, eventualmente effettuato anche in legno. Tale periodo decorre dal 1 dicembre successivo alla vendemmia.

Il Valtellina Superiore e le sue sottozone.

Alcune delle aree del Valtellina Superiore DOCG sono definite sottozone e godono di un proprio nome. Nello specifico sono cinque e in ordine da ovest verso est, sono : Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella. uno stile è associato , anche se non sempre riscontrabile, ad ognuno di queste  zone. Al Maroggia è dato equilibrio e delicatezzaeleganza è sapidità al Sassella, armonia e prontezza di beva al Grumello, calore e struttura all’ Inferno  ed infine aromaticità e acidità al Valgella.

È stata fondata nel 2002 e quindi risulta essere la più giovane. I 25 ettari di vigneto si trovano tra Berbenno in Valtellina e Buglio in Monte. Il vino proveniente da questa zona è legato alla figura di Benigno dei Medici soprannominato San bello. Il frate arrivò nel monastero di Berbenno nel 1458 dove esercitò il suo ministero pastorale per 14 anni. Muorì in preghiera nel 1472. Al suo interno si possono distinguere diverse aree per esposizione morfologia. Una è lo sperone roccioso che dall’abitato di Maroggia e scende ripidissimo verso Val d’Orta e che presenta maggiore densità vitata nelle zone di Garbisc, Cecca e Dosso. Il secondo versante invece ha un esposizione prevalentemente a mezzogiorno dove si possono distinguere le zone di Righetta, di Piasci, di Malenca e di Casini.

L’area coltivata si estende per 114 ettari tra il comune di Castione Andevenno e il territorio ad ovest di Sondrio. I valtellinesi considerano la zona storica quella posta tra Triasso e San Lorenzo. Comunque distinguiamo tre zone principali: quella posta verso Sondrio, quella centrale di Triasso e quella verso Castione Andevenno. La zona orientale è esposta verso est ed è protetta dai venti. Inoltre ha una maggiore prevalenza rocciosa e con poca profondità. Qui si ricavano vini sapidi. La zona centrale si espone a sud ed è caratterizzata da una maggiore profondità nel terreno. I vini che se ne ricavano risultano essere più gentili e delicati. La terza zona,  quelle esposta ad occidente, si espone ad ovest e gode di un clima più ventilato. Qui i terreni, mediamente profondi, danno vini più colorati, più fruttati e strutturati. Il nome deriva dal Santuario dedicato alla Beata Vergine Maria Annunciata che Sorge sulla rupe del Sassella. Il luogo religioso fu edificato nel 932 e una leggenda narra che la Madonna apparve in sogno all’arciprete di Sondrio. La santa chiese al prete di edificare un santuario in suo nome. Inoltre il mito narra che la Madonna spostò il materiale per la costruzione, posto alla base del promontorio, in cima, in una sola notte. 

Grumello prende il nome dal Castel Grumello, costruito nel 1300 e distrutto dai Grigioni nel 1526 . Il nome deriva dal latino “grumus” che vuol significare “poggio-altura”. La zona vitata si estende per 78 ettari partendo ad est di Sondrio fino ad arrivare al comune di Montagna in Valtellina. Anche se il versante è caratterizzato da un omogenea esposizione a mezzogiorno distinguiamo due aree. La prima è la fascia più alta, cioè quella compresa tra i 400 metri e i 600 s.l.m., qui troviamoallora le località di Ponchiera, Le Prudenze e dei Dossi Salati. Qui i vini risultano ben colorati, eleganti e strutturati. Poi c’è la seconda area, quella compresa al di sotto dei 400 metri fino ad arrivare ai 250 metri sul livello del mare.  Qui individuiamo le località Ca’ rossa, Ca’ bianca e Sant’Antonio. I vini che se ne ricavano sono eleganti e ben strutturati, in genere più pronti.

Grumello prende il nome dal Castel Grumello, costruito nel 1300 e distrutto dai Grigioni nel 1526 . Il nome deriva dal latino “grumus” che vuol significare “poggio-altura”. La zona vitata si estende per 78 ettari partendo ad est di Sondrio fino ad arrivare al comune di Montagna in Valtellina. Anche se il versante è caratterizzato da un omogenea esposizione a mezzogiorno distinguiamo due aree. La prima è la fascia più alta, cioè quella compresa tra i 400 metri e i 600 s.l.m., qui troviamoallora le località di Ponchiera, Le Prudenze e dei Dossi Salati. Qui i vini risultano ben colorati, eleganti e strutturati. Poi c’è la seconda area, quella compresa al di sotto dei 400 metri fino ad arrivare ai 250 metri sul livello del mare.  Qui individuiamo le località Ca’ rossa, Ca’ bianca e Sant’Antonio. I vini che se ne ricavano sono eleganti e ben strutturati, in genere più pronti.

È l’area viticola più estesa perché ricopre una superficie di 137 ettari vitati ed inoltre si sviluppa verticalmente tra i comuni di Chiuro, Teglio e Bianzone. Il nome deriva dal termine dialettale “valgel” che indica la discesa dei ruscelli da sopra le Alpi fino in fondo valle. Le zone vitivinicole più importanti sono: Fracia, Carteria, San Giacomo, Caselli, Ca’ Morelli, Caven e Quigna.

Pur non rientrando tra le sottozone ufficiali del Valtellina superiore DOCG vanta comunque una lunga tradizione vitivinicola. L’area di produzione inizia dalla Valle di Bianzone e finisce a Villa di Tirano. È caratterizzata da una striscia di vigneti che salgono fino a quota 450 metri s.l.m. con esposizione a est .

Il nebbiolo della Valtellina.

Il vitigno Chiavennasca.

L’origine del nome, in passato, era attribuito alla città di Chiavenna in provincia di Sondrio ritenendo che venisse da quelle parti e successivamente portato in Valtellina. Alcuni ritengono che tale nome derivi dall’espressione dialettale “ciù vinasca” che vuol dire vitigno adatto alla trasformazione del vino. Altri invece sostengono che il nome derivi da un’altra espressione dialettale “ ciù venasca”  ossia vitigno con più vena e vigore.  Non conosciamo esattamente l’epoca di introduzione del vitigno in Valtellina . Presenta una notevole variabilità fenotipica ed eterogeneità di caratteri che hanno consentito di identificare diversi biotipi. Infatti Carlo Gerini, nel 1882, distingue la Chiavennasca Comune, la Chiavennasca Piccola e la Chiavennasca Intagliata. 

Forma di allevamento del Chiavennasca.

Il vitigno “Chiavennasca” ha bassa fertilità basale e alta vigoria, quindi richiede delle potature lunghe, facendo ricadere la scelta su forme di allevamento quali guyot e sylvoz. Con la potatura si lascia solitamente 1 capo a frutto di 10/12 gemme o 2 capi a frutto con 7/8 gemme. La forma storica e tradizionale si chiama “Archetto Valtellinese” che è essenzialmente un guyot modificato. il metodo prevede che il tralcio, dopo la potatura, sia curvato verso il basso è ripiegato sul filo verso la pianta. Quindi il carico di gemme oscilla tra 18 e 24 che sono distribuite su due o tre tralci. Ultimo ma non meno importante è lo sperone che si lascia per il rinnovo del tralcio dell’anno che segue. Il portainnesto maggiormente diffuso è il Riparia x Rupestris 420/a che è sfruttato in quanto limita il vigore del vitigno,per far fronte ai problemi di siccità e per sopportare la reazione acida dei terreni.

Le avversità.

Il vitigno Nebbiolo è particolarmente sensibile all’Oidio, anche conosciuto come “Mal Bianco o Albugine. Si tratta di un fungo Ascomycota che produce uno strato di feltro bianco quando l’attività vegetativa si intensifica.  Inoltre si diffonde con il vento e non con la pioggia, ha bisogno di temperature e umidità moderate per svilupparsi. Invece resiste meglio alla Peronospora causata dai microrganismi della famiglia dei funghi. Questi producono un qualcosa che somigli a una macchia d’olio sulle foglie oppure chiazze di muffa biancastra. Per svilupparsi hanno bisogno della regola dei tre dieci , ovvero di condizioni climatiche specifiche. Queste sono : la temperatura intorno ai 10 gradi centigradi, i germogli lunghi circa 10 cm e 10 mm di pioggia caduti. Mentre la presenza di Acari è rara, la Tignoletta viene solitamente combattuta con un solo trattamento estivo. Quest’ultimo insetto entra in azione nel periodo della fioritura, deponendo delle uova che poi diventeranno larve e che infine saranno farfalline.

La zonazione valtellinese.

Le unità paesaggistiche.

I suoli riscontrabili nell’area vitata sono essenzialmente distinguibili in quattro unità di paesaggio. I conoidi, un accumulo di sedimenti che hanno dato la forma di cono, sono caratterizzati da terreno agricolo liberato dalle pietre, è profondo non più di 60 cm. Il terrazzo principale è caratterizzato da un suolo color bruno e substrato glaciale compatto e roccioso . È un tipo di suolo che va da poco profondo a mediamente profondo in cui le radici trovano una certa difficoltà a penetrare. I suoli di medio versante vanno da moderatamente profondi a profondi, con presenza di scheletro che tende ad aumentare andando verso sotto. I suoli di scarpata principale sono i più interessati dalla coltura della vite e sono caratterizzati da forti pendenze. 

Gli studi fatti sulle fasce altimetriche.

Tutti questi suoli sono accomunati da una reazione tendenzialmente acida, da tessitura con prevalenza sabbiosa/limosa, da assenza di carbonati e da capacità di scambio cationica bassa. La zonazione identifica tre fasce altimetriche che influenzano la fenologia e la maturazione tecnologica dell’uva. Ognuna delle tre fasce è poi ulteriormente classificabile per radiazione fotosinteticamente attiva e potenziale.In altre parole questa misura l’energia solare intercettata dalla clorofilla. Quindi possiamo affermare che le fasi fenologiche della vite sono precoci sotto i 400 metri , sono medie tra i 400 e i 500 metri , e tardano a maturare sopra i 500 metri. La maturazione tecnologica che valuta il rapporto tra zuccheri e acidità è migliore sotto i 400 metri, è modesta tra i 400-500 metri ed è scarsa al di sopra dei 500 metri. Un dato interessante ,da sapere, risiede nella qualità e nella quantità di pigmenti e di aromi ch’è possibile riscontrare nei vini. Nelle zone di fascia compresa tra i 400 e i 500 metri risultano più interessanti. Mentre hanno una formazione incompleta in zone con radiazione elevata e in zone con radiazione bassa. 

Consorzio per la Tutela dei Vini di Valtellina.

Il Consorzio per la tutela dei vini di Valtellina è stato fondato nel 1976 e dal 1997 rappresenta quasi tutte le aziende vinicole valtellinesi. Nel 2004 ha ricevuto il conferimento per il Piano dei Controlli Ministeriale per la verifica dalla vigna alla bottiglia. È l’unico Consorzio Italiano che può vantarsi di gestire ben due DOCG : Sforzato di Valtellina DOCG e Valtellina superiore DOCG. Le altre denominazioni interessate del territorio sono il Rosso di Valtellina e le Alpi Retiche I.G.T.. Si occupa di esaltare e valorizzare il vino valtellinese in in Italia e all’estero, ma anche di tutelare e salvaguardare il territorio. Inoltre tutti i produttori valtellinesi hanno creato nel 2003 la fondazione ProVinea per valorizzare l’ambiente viticolo terrazzato della Valtellina.  Aldo Rainoldi, dell’omonima cantina, è l’attuale presidente del Consorzio dal giugno del 2018 ed è affiancato dai vicepresidenti Marco Fay e da Giampaolo Carnazzola. Prima di lui il presidente è stato Mamete Prevostini, eletto nel luglio del 2009 ed Aldo Rainoldi ed Emanuele Pelizzatti Perego sono stati i suoi vicepresidenti. Ancora prima è stato Casimiro Maule, presidente per 12 anni , dal 1997.