Vino di Botticino
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Etimologia del vino di Botticino.
L’origine del nome Botticino è incerta ma sembri derivare dal termine “botte piccola”. All’inizio lo stemma del comune era rappresentato da tre botticelle, una per ogni singola località. In seguito si fusero in un solo barilotto per il vino, quasi a significare la raggiunta maturità collettiva nell’unione di un’ unica identità. Sorge spontanea la domanda: “come mai non abbiano ritenuto più importante essere rappresentati da uno stemma che raffiguri il marmo?”. Certamente la risposta la troviamo nella storia di questo popolo in cui si evince come questi fossero legati al vino.
Il suolo di marmo del vino di Botticino.
Il terreno ha un aspetto ferretizzato, ricco di calcare, con buona quantità di potassio è una discreta dose di anidride fosforica. Lo specialista in viticoltura e in enologia nato a Manerbio, Miche Vescia , ha condotto gli studi pedologici della zona. Egli sostiene che la Marna di Botticino risulta potenzialmente superiore a quella della zona del Barolo. Infatti in questa zona è presente un giacimento di pietra calcarea da cui si estrae il famoso marmo di Botticino . Il marmo che se ne ricava ha un colore beige e si è formato tra 190 e 60 milioni di anni fa . La cava nasce da un lento e continuo processo di sedimentazione e cementazione di fanghi calcarei, in una zona dove prima c’era il mare. È importantissimo ricordare che è stato usato per la costruzione della Casa Bianca a Washington, della Statua della Libertà a New York e dell’ Altare della Patria a Roma.
La zona di produzione della DOC Botticino
L’area produttiva dei vini a Denominazione di Origine Controllata Botticino comprende tutto il territorio di Botticino Sera , Botticino Mattina e San Gallo e parte dei comuni di Brescia e Rezzato. La DOC si trova incastonata tra Il monte Maddalena, ad ovest, tra le Prealpi Bresciane a nord e le Cave di Botticino che si trovano ad est.
Importanti eventi storici del vino di Botticino.
Pier de Crescenzi descrive l' agricoltura bresciana.
Il Trattato che l’ agronomo scrisse sull’agricoltura, era composto da 12 libri e riprendeva i testi di autori precedenti spesso trascrivendone i contenuti. L’autore fu presente a Brescia, come giudice e assessore, dal 1292 e nel 1299 rientrò in patria dove scrisse il suo trattato che pubblicò nel 1305. Nel testo parla delle tecniche agricole usate nei Ronchi Bresciani e dell’allevamento con impianto a palo secco per ogni vite.
Chiamavano schiava l'uva.
La descrizione dell’uva schiava era quella di: germogliamento tardivo, dai grappoli medi e serrati e con acini quasi sferici. Il nome di quest’uva deriva da un modo di dire latino riferito alle terre << cum vineis selavis >>. L’ espressione era utilizzata nel XII secolo nel territorio lombardo per indicare appezzamenti circondati da viti allevati a filare e quindi costrette nel loro sviluppo. Questo significato si contrapponeva alla coltura classica della vite selvatica che erano lasciati liberi di arrampicarsi sugli alberi. Però con il nome di schiava, a quei tempi, si indicavano vitigni diversi che richiedevano l’aiuto di un sostegno per i tralci ancora giovani. Nel passato le varietà di schiava più apprezzate erano quelle a bacca bianca ma nel XIX secolo si diffusero la Magellana e la Gentile.
Documenti sull'allevamento delle viti per i vini di Botticino.
L’allevamento delle viti sulle terre della Valverde è testimoniata da atti di affittanza rogati in Botticino. Infatti i Vescovi della chiesa di San Daniele concessero nel 1395 per 9 anni un appezzamento con viti e olivi nella collina di Sant’Anna a Botticino Mattina. Un altro del 1956 riporta l’incarico di arare un terreno con viti dado al calzolaio Giovannino Fachi nella contrada di San Zenone della Cleve.
Testimonianza sulla capacità di conservare il vino di Botticino.
Nel 1408 la signora Elena grossi, vedova di Bertolino Rosini, lascia scritto nel testamento le istruzioni per la salvezza della sua anima. Affida l’incarico ai figli di distribuire ai poveri del paese 9 gerle di vino.
Dichiarazione dei beni.
Nel 1558 il Comune di Botticino dava in affitto terreni vitati ai contadini del luogo per poter finanziare il fisco. Durante il dominio Veneto ogni famiglia doveva descrivere i propri beni immobili in una “polizza d’estimo”. E quanto fecero i nobili Cazzago , nel 1572, denunciando in contrada Fontanelle, il loro palazzo di famiglia, terreni arati e vitati coltivati dai massari. Anche i nobili Mazzola avevano molte terra in Botticino Sera da cui ricavano i vini.
Autori e testimoni.
L’ agronomo bresciano Agostino Gallo nella sua opera “Le tredici giornate dell’Agricoltura e i piaceri della Villa del 1566 descrive la fertilità del pedemonte bresciano che va da Villanova sul Clisi a Concesio. Anche Andrea Bacci da Sant’Elpidio a Mare, nel 1596, nel suo “De naturalis Vinorum Historia” del 1596, sostiene che il territorio di Brescia supera tutto il resto della Regione nella fecondità di ogni frutto. Il marchigiano e medico del Papa Sisto V sottolinea <>. Nel 1610 Il nobile Giovanni da Lezze fece redigere per il Senato di Venezia una dettagliata relazione dell’economia bresciana. Scriveva che la terra di Botticino Mattina è perfetta per fare vini eccellenti. Inoltre aggiungeva che la campagna di Rezzato ha grandi quantità di buonissime viti.
Il catasto del 1641.
Grazie al reperimento di questi documenti si è potuto risalire ai possessori di attrezzature per la vinificazione. Il registro degli immobili del 1641, imposto dalle Repubblica di Venezia a tutti i cittadini, riportava una dettagliata descrizione di tutti i loro possedimenti. A Botticino erano due le famiglie con maggiori proprietà: ed erano la famiglia dei Cazzago e quella dei Giuliano. La Contrada del Torcolo prendeva il nome dalle attività che si svolgevano dopo la vendemmia. Qui la maggioranza dei contadini che non potevano pigiare in autonomia, portavano l’uva. Il signor Valsecchi Giovan Battista possedeva molta terra e una grande casamento con cantina annessa. Un’altro torcolo lo possedeva il signor Faustino Gorni a Botticino mattina. Mentre a Botticino Sera era il nobile Giulio Maggi ad affittare il torcolo ai contadini per spremere le olive.
La furbizia dei zerlotti.
Il vino destinato al commercio locale veniva consegnato al Mercato dei Vini che si trovava nell’attuale corso Zanardelli. Qui si vendette il vino fino alla metà del XIX secolo poi venne trasferito a Porta Sant’Alessandro, oggi piazzale Cremona. I zerlotti consegnavano a domicilio il vino agli acquirenti, trasportando a spalla le zerle , contenitori in legno da 50 litri circa. Però troppi zerlotti cercarono di sfruttare la loro posizione per aggirare il pagamento delle tasse. Questi acquistavo il vino a bassissimo costo per poi rivenderlo nelle loro osterie.
Le leggi contro i zerlotti.
Come detto in precedenza i zerlotti si fecero troppo furbi. I deputati del comune di Brescia scoprirono il marchingegno e deliberarono, nel 1703, che nessun zerlotto potesse fare l’esercizio dell’Oste o aprire una taverna. Ma questo decreto fu cancellato dal Consiglio Generale e i malaffari continuarono fino all’anno successivo. Quindi i Deputati stabilirono nuovamente altre leggi. Di conseguenza i zerlotti non potevano aprire attività commerciali e non potevano risiedere con persone che producevano vino. Questi non potevano neanche corrompere i produttori di vino , incontrandoli fuori città. Infine, fu stabilito che tutto il vino atto alla vendita dovesse essere consegnato al Mercato del Vino.
La vocazione della Valverde .
Nella documentazione raccolta durante il XIX secolo dal catasto Napoleonico si nota come nella Valverde sia diffusa la coltivazione di gelsi in pianura e di castagne in collina. A questi dati fiscali si aggiungono altre due testimonianze. Quella dell’eroe delle 10 giornate di Brescia, Tito Speri (1825-1853) nel suo romanzo storico “ Igeraldo è Scomburga” parla di Botticino. Egli elogia la natura del terreno per l’influenza dei colli vicini e per la maniera di coltivazione, producono tali vini da non temere, nel giudizio del buon intenditore, il confronto con i vini della superba Riviera. Ancora quella del medico rovatese Carlo Cocchetti (1817-1888) cita la Valverde nella sua opera “Storia di Brescia e la sua provincia”.
Anche qui la fillossera.
Verso la fine del 1800 si diffuse la fillossera , un afide proveniente dall’America che attaccava le radici delle viti facendole marcire. Tutti gli sforzi attuati per lottare questo insetto furono vani per molti anni. La soluzione fu quella di innestare le vite europee sulle radici americane . Anche i contadini della Valverde reimpiantarono i loro vigneti e selezionarono nuovi vitigni. Così la produzione del vino riprese, tanto che, solo a Botticino erano coltivati a vigneto circa 1000 ettari di terra.
Il Consorzio di Tutela del Vino di Botticino
Il Consorzio Volontario per la Tutela dei Vini di Botticino D.0.C. , e Ronchi di Brescia I.G.T. è stato costituito nel 1996. Nel 2012 ha ottenuto ufficialmente, con un decreto, l’autorizzazione a svolgere le funzioni di tutela, promozione e valorizzazione.